domenica 19 ottobre 2008

Nascita di un mortale

Esausto il cammino cedeva sulle mie gambe. Ancora qualche attimo e sarei giunto al passo. Di là avrei rivisto la pianura dei miei sogni. Il perimetro della mia infanzia.
Del viaggio mi è compagno un uccello di vetro, sacro e chiaroveggente, che ricordo d'aver già visto in un'orizzonte estremo.

E come il marinaio che sente la presenza del mare a distanza, io, nel vento che saliva la vallata, mi riconobbi correre lungo un fiume tra i profumi d’ eucalipto, giocare con figure immaginate, e ridendo fuggivo dietro un albero, salutavo il cielo, e ritrovavo il fiume che correvo.

Dal valico, gettai lo sguardo nella valle, e vidi, nell'ombra svanita, anonime case, tra le quali la mia; trapelata da un bosco ceduo e da una luna acerba; più estranea che mai sembrò ostile e severa. Pensai di scappare, di tornare indietro ricalcando le orme per timore che gli astri s’accorgessero di quell’errore. La mia vecchia casa (o chi per essa), con gli scalini di sasso e muschio, dove un tempo sedevo gettando pietre al pollaio, io temevo.

Un girotondo d'aneliti invasero la mia mente… dilatato vacillai sul costone, e temetti il precipizio quando formiche di brina salirono sulla schiena. Udii voci lontane di ragazzi deridermi, e per tre, quattro, dieci volte qualcuno gridò il mio nome!!... ma non vidi nessuno!.
Spaventato pregai l'onniscienza del cielo (o pronunciai sproloqui); pur invocai la veggenza dei ciechi (o dissi eresie), poiché Dio è onnipresente e misericordioso.
Quietato dalla fine del giorno, contemplai la luce viola del crepuscolo che declinava con il confine prossimo che m'attendeva. Ma incontrai il disordine d’un antico sogno: un sogno mobile, di scale sghembe e rovesciate, altra forma del baratro, che concludeva nella grata serrata dei miei denti. Altro non ricordo..o non voglio ricordare…ricordo di un’antica partita a scacchi iniziata secoli prima tra due famiglie rivali, …con i pezzi che si muovevano con una lentezza possente, poiché il loro movimento profondo implicava gli astri e il futuro, i vulcani e gli oceani.
Sudato e confuso m'asciugai la fronte; potente la luna saliva sulle montagne, mentre uno stridìo lontano rivelava l'esistenza d'un uccello.
Io, solamente, in un attimo, compresi tortuosità inesplicabili di me e dell’universo, e avvertii il colore della mia mente, la forma dell’ispirazione… e altre cose.
Io minimo, io spoglio, verme di fronte a tutto pregai…“O Signore non son degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola, ed io sarò salvato”. Osservavo la natura, e il volteggiar grazioso dell'uccello che tanto parve mutar percorso al mio destino; giocoso scriveva disegni; …ma lapidario sovvenne il pensiero: “come il silenzio d’un morto questo giorno è compreso tra l‘alba e il tramonto”. Pensai alla morte prolungamento del tempo, ai morti estensione di me, all’impronta delle pietre nei campi, alle valli aride e alle paludi. Chiave finale del destino, irreparabile è ciò che si vuol compiere: e io sono…. Solo.. un’ancestrale lotta d’istinti ferini, uomo serpente: inganno violento.
...Cercai il senso del momento....esterno mi osservavo, doppio nel sonno ubriaco che mi colse quanto m’accorsi che disegnavo nell’aria.....disegnai, sognai…una stanza immersa nell’acqua m’apparve..; un colore d’acquamarina la comprendeva, e stranamente vi ero felice.…Ma vidi accadimenti inenarrabili avanti, dove il tempo si annulla... Vidi la mia casa decomporsi nelle sue parti e ricomporsi intorno a me. E la casa, guidata da un invisibile mano si ricostruiva pietra su pietra ed io vi ero compreso; mattoni e calce si staccavano dalla casa originaria riedificandosi altrove e nell'altrove io permanevo: prima i muri, poi il tetto; e poi i mobili e le vettovaglie si trasferivano nell'aria e si ricomponevano all’interno.(Può la musica di una viola scordata suggerire l'orrore stridulo, l'indicibile orrore che mi pervase?...).

Una brezza mi schiaffeggiò al mattino strappandomi i veli del sonno. Mi scopersi bagnato d’orina e che avevo dormito nel freddo. L’uccello di vetro esattamente volava ora con gl’occhi verdi, familiari.. così parve di vedere me stesso: in un'unica immagine con lui.

Trasparente rimuginavo: “forse la preghiera può qualcosa nello spazio informe dei pensieri??”. Corroso dal dubbio perseguii la magìa…e tentai un rito sacrilego, (che la S.ma Vergine mi perdoni!). Con l’indice della mano definii l’orizzonte delle cose: il mio giaciglio, il fuoco, la valle, ed, ulteriormente, circoscrissi uno spazio (oltre) dove depositare le immagini sperdute di me. Alcune raccolsi correndo in un campo di grano, altre guadando un torrente, altre ancora percorrendo una delle tante pianure che costeggiano l’infanzia. Da lì corsi per incerti chilometri lungo una salita…. giunto esausto a un valico fui preda d’un mancamento... in un baratro di scale che scendevano e salivano di nuovo mi trovai; ...uccelli di vetro, con sguardi obliqui m’inseguivano... ora dentro i cunicoli di una caverna...ora dentro corridoi interrotti da buche ed assi traverse, poi... un uccello, con un'ala, fece cenno di seguirlo (....sembrava sorridermi).. Mi sentii piccolo... abbandonato...camminavo con le braccia protese in avanti come non vedente …seguivo il torrente che m’accompagnava lungo pozze d’acqua chiara..varie volte battei la testa nella caverna,… poi ritrovai un ambiente luminoso …Davanti , tra le colonne della caverna ora si dipanava a me, rigoglioso un giardino verticale senza confini, profumato d’eucalipto e dagl’intensi colori viola...In fondo al giardino una scala ad ampi gradini saliva ad un torrione venato di colori rossastri con balaustre ocra e terrazze scavate ...m’incamminai per i gradini.. ma m’accorsi, in realtà, di scenderli… su una nuvola di vapore… e mi trovai, non so come, sulla riva di un mare… un mare immobile e giallo, crespato di bianco….ed accanto, ma forse ciò appartiene ad un altro mondo perché sembrava una parte staccata,… scorsi una finestrina rotonda …piccola. Stanco mi addormentai….
"Nostra Signora mi protegga per quello che sto per dire!”, poiché durante una notte senz’ombra in cui prossime sono le profezie, la mia bocca esalò un vento ignoto che aprì l’inviolata porta del tempio (in cui hanno accesso e deposito le anime dei morti); penetrò negli anelli bassi dell’edificio (dove il mistero è probabile e fitto), e smosse il tempo stagnante di una clessidra sollevando un polverone di secoli. Impalpabili volatili, innumerevoli come cavallette invasero i remoti luoghi che reggono il tumulto dei sensi (che abitano in un cono di ghiaccio profondo sette dodicesimi di quello che emerge), e dai tumuli dei sepolcri, dalle sacrestie e dalle cripte delle Chiese...
Vari sogni incontrai nel cammino... e voci confuse, come ad una festa udii rimbalzare nelle gallerie:… forse tre, quattro... dieci volte sentii chiamare il mio Nome; dietro di me uno sguardo ancora mi seguiva... nuovamente tentai la fuga.…

Finché giunsi ad un bivio.

Esausto il cammino cedeva sulle mia gambe...un sonno quieto e pesante raggiunse le mie stanche membra. Mi svegliai ore dopo (credo), madido dell’acqua sgocciolante delle caverne con lo stupore d’un sonno artificiale.
Innanzi il bivio m’attendeva.

Lettore!. Sia ben chiaro!. Il problema è indeterminato!.
Ma giocando il gioco medio dell’assente questo bivio immaginai univoco.

Ora, mortale, entravo nella casa.

MASSIMO




. Ringrazio l'assistenze di office per l'aiuto ricevuto nella stesura di qeusto piccolo racconto.

mercoledì 8 ottobre 2008

Questo racconto l'ho scritto a Luigi per il suo compleanno come regalo.
“Mille guerre e lunghi anni mi separano dal mio padrone. Salpò con i suoi uomini per un viaggio per terre ai confini della tenebra e dell’orizzonte, e ancora attendo il suo ritorno. Ormai vecchio e cieco, nel mio giaciglio e all’ombra di un olivo, lo attendo da vent’anni, e prego gli Dei di morire accanto a lui mentre scaglia una vendetta fatta di frecce contro coloro che hanno occupato e la sua casa e umiliato la sua sposa.
Anche il mio amico, come il mio padrone, sconta le invidie e l’odio della moltitudine che usa maschere e trappole in suo danno, fabbricando calunnie e seminando il demonio. La sua casa, immensa e nobile, potrebbe reclamare maggior considerazione nel paese; ma ha la modestia del contadino e l’umiltà di un uomo timorato di Dio, e in fondo, “non è giusto”, dice lui.
Non nego che il mio gergo sia stato di aiuto al nome del mio amico; c’è stato un tempo in cui il mio coraggio ha conquistato territori e coscienze, seppur randagio e in catene. Questo mio scritto, in suo omaggio, gli giunge ora come un gesto portato dal vento, per augurare tempi migliori. Non temo l’errore delle cose, né il miraggio dell’al di là, ma il ritorno di epoche oscure e tenebrose.
E mentre dentro queste righe aleggia un passato insidioso che sta scomparendo, gli astri che vegliano la mia casa, con le bestie e le pietre miei unici compagni, sono gli ultimi testimoni della storia che ho narrato a sostegno del mio amico.
Chiedo perdono della cattiva grafia, ma sono cieco, e per giunta la penna mal si appoggia alla mia vecchia... zampa”.



9-08.01 Auguri
( Massimo) ARGO (cane di Ulisse)
EXPERIMENTS:

“Un pub sta chiudendo, e le donne delle pulizie entrano con scope e pattumiere. Dei mozziconi e cartacce raccolti dal pavimento fanno commenti della sera trascorsa.
In un angolo buio vicino al gabinetto un uomo da solo sembra dormire, il volto ha raccolto, gli occhi semichiusi, e si regge la fronte con una mano; ogni tanto borbotta e si lamenta di qualcosa. Vestito di un trence verde, ha tra le dita una sigaretta consumata, ed il filo di fumo che sale gli si attorciglia alla testa come una nuvola tra la montagna.
Fuori la pioggia dura ed esatta batte sulla canala. Aria fresca e nuova entra dalla porta. Ad un certo punto l’uomo dall’angolo si alza e va in bagno. Si guarda allo specchio, vede i suoi occhi cerchiati di scuro, la pelle gialla e cascante, la barba incolta. Dalla giacca un fazzoletto a quadri esce scomposto.
Uscendo l’uomo, inciampa e cade. Gli occhiali gi scendono sul naso e poi si rompono sul pavimento.Le lenti frantumate vengono raccattate dalle donne, che lo scacciano a granatate.
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martedì 7 ottobre 2008

LA FINE
Per anni ho predicato il falso, lo ammetto. Di paese in paese sono fuggito fino all'estremo limite della terra. Anche ho trovato riparo in mare. Ma ora, cavalli e spade mi cingono d'assedio. Presto sarò giustiziato, e non vi sarà moneta o ferro che potrà salvarmi. Il fervore di una preghiera decadente alla sera, è un grido d'aiuto; il tramonto e l'acqua d'un ruscello, un sollievo e un sorriso.
Non penso a niente (o forse penso come un morto), ma riesco a dormire sereno nel tempo finale. La notte, perfino canzoni di naviganti visitano il mio sonno, e un volto d'una donna mi appare sorridente.
Felice è colui che capisce
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