domenica 19 ottobre 2008

Nascita di un mortale

Esausto il cammino cedeva sulle mie gambe. Ancora qualche attimo e sarei giunto al passo. Di là avrei rivisto la pianura dei miei sogni. Il perimetro della mia infanzia.
Del viaggio mi è compagno un uccello di vetro, sacro e chiaroveggente, che ricordo d'aver già visto in un'orizzonte estremo.

E come il marinaio che sente la presenza del mare a distanza, io, nel vento che saliva la vallata, mi riconobbi correre lungo un fiume tra i profumi d’ eucalipto, giocare con figure immaginate, e ridendo fuggivo dietro un albero, salutavo il cielo, e ritrovavo il fiume che correvo.

Dal valico, gettai lo sguardo nella valle, e vidi, nell'ombra svanita, anonime case, tra le quali la mia; trapelata da un bosco ceduo e da una luna acerba; più estranea che mai sembrò ostile e severa. Pensai di scappare, di tornare indietro ricalcando le orme per timore che gli astri s’accorgessero di quell’errore. La mia vecchia casa (o chi per essa), con gli scalini di sasso e muschio, dove un tempo sedevo gettando pietre al pollaio, io temevo.

Un girotondo d'aneliti invasero la mia mente… dilatato vacillai sul costone, e temetti il precipizio quando formiche di brina salirono sulla schiena. Udii voci lontane di ragazzi deridermi, e per tre, quattro, dieci volte qualcuno gridò il mio nome!!... ma non vidi nessuno!.
Spaventato pregai l'onniscienza del cielo (o pronunciai sproloqui); pur invocai la veggenza dei ciechi (o dissi eresie), poiché Dio è onnipresente e misericordioso.
Quietato dalla fine del giorno, contemplai la luce viola del crepuscolo che declinava con il confine prossimo che m'attendeva. Ma incontrai il disordine d’un antico sogno: un sogno mobile, di scale sghembe e rovesciate, altra forma del baratro, che concludeva nella grata serrata dei miei denti. Altro non ricordo..o non voglio ricordare…ricordo di un’antica partita a scacchi iniziata secoli prima tra due famiglie rivali, …con i pezzi che si muovevano con una lentezza possente, poiché il loro movimento profondo implicava gli astri e il futuro, i vulcani e gli oceani.
Sudato e confuso m'asciugai la fronte; potente la luna saliva sulle montagne, mentre uno stridìo lontano rivelava l'esistenza d'un uccello.
Io, solamente, in un attimo, compresi tortuosità inesplicabili di me e dell’universo, e avvertii il colore della mia mente, la forma dell’ispirazione… e altre cose.
Io minimo, io spoglio, verme di fronte a tutto pregai…“O Signore non son degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola, ed io sarò salvato”. Osservavo la natura, e il volteggiar grazioso dell'uccello che tanto parve mutar percorso al mio destino; giocoso scriveva disegni; …ma lapidario sovvenne il pensiero: “come il silenzio d’un morto questo giorno è compreso tra l‘alba e il tramonto”. Pensai alla morte prolungamento del tempo, ai morti estensione di me, all’impronta delle pietre nei campi, alle valli aride e alle paludi. Chiave finale del destino, irreparabile è ciò che si vuol compiere: e io sono…. Solo.. un’ancestrale lotta d’istinti ferini, uomo serpente: inganno violento.
...Cercai il senso del momento....esterno mi osservavo, doppio nel sonno ubriaco che mi colse quanto m’accorsi che disegnavo nell’aria.....disegnai, sognai…una stanza immersa nell’acqua m’apparve..; un colore d’acquamarina la comprendeva, e stranamente vi ero felice.…Ma vidi accadimenti inenarrabili avanti, dove il tempo si annulla... Vidi la mia casa decomporsi nelle sue parti e ricomporsi intorno a me. E la casa, guidata da un invisibile mano si ricostruiva pietra su pietra ed io vi ero compreso; mattoni e calce si staccavano dalla casa originaria riedificandosi altrove e nell'altrove io permanevo: prima i muri, poi il tetto; e poi i mobili e le vettovaglie si trasferivano nell'aria e si ricomponevano all’interno.(Può la musica di una viola scordata suggerire l'orrore stridulo, l'indicibile orrore che mi pervase?...).

Una brezza mi schiaffeggiò al mattino strappandomi i veli del sonno. Mi scopersi bagnato d’orina e che avevo dormito nel freddo. L’uccello di vetro esattamente volava ora con gl’occhi verdi, familiari.. così parve di vedere me stesso: in un'unica immagine con lui.

Trasparente rimuginavo: “forse la preghiera può qualcosa nello spazio informe dei pensieri??”. Corroso dal dubbio perseguii la magìa…e tentai un rito sacrilego, (che la S.ma Vergine mi perdoni!). Con l’indice della mano definii l’orizzonte delle cose: il mio giaciglio, il fuoco, la valle, ed, ulteriormente, circoscrissi uno spazio (oltre) dove depositare le immagini sperdute di me. Alcune raccolsi correndo in un campo di grano, altre guadando un torrente, altre ancora percorrendo una delle tante pianure che costeggiano l’infanzia. Da lì corsi per incerti chilometri lungo una salita…. giunto esausto a un valico fui preda d’un mancamento... in un baratro di scale che scendevano e salivano di nuovo mi trovai; ...uccelli di vetro, con sguardi obliqui m’inseguivano... ora dentro i cunicoli di una caverna...ora dentro corridoi interrotti da buche ed assi traverse, poi... un uccello, con un'ala, fece cenno di seguirlo (....sembrava sorridermi).. Mi sentii piccolo... abbandonato...camminavo con le braccia protese in avanti come non vedente …seguivo il torrente che m’accompagnava lungo pozze d’acqua chiara..varie volte battei la testa nella caverna,… poi ritrovai un ambiente luminoso …Davanti , tra le colonne della caverna ora si dipanava a me, rigoglioso un giardino verticale senza confini, profumato d’eucalipto e dagl’intensi colori viola...In fondo al giardino una scala ad ampi gradini saliva ad un torrione venato di colori rossastri con balaustre ocra e terrazze scavate ...m’incamminai per i gradini.. ma m’accorsi, in realtà, di scenderli… su una nuvola di vapore… e mi trovai, non so come, sulla riva di un mare… un mare immobile e giallo, crespato di bianco….ed accanto, ma forse ciò appartiene ad un altro mondo perché sembrava una parte staccata,… scorsi una finestrina rotonda …piccola. Stanco mi addormentai….
"Nostra Signora mi protegga per quello che sto per dire!”, poiché durante una notte senz’ombra in cui prossime sono le profezie, la mia bocca esalò un vento ignoto che aprì l’inviolata porta del tempio (in cui hanno accesso e deposito le anime dei morti); penetrò negli anelli bassi dell’edificio (dove il mistero è probabile e fitto), e smosse il tempo stagnante di una clessidra sollevando un polverone di secoli. Impalpabili volatili, innumerevoli come cavallette invasero i remoti luoghi che reggono il tumulto dei sensi (che abitano in un cono di ghiaccio profondo sette dodicesimi di quello che emerge), e dai tumuli dei sepolcri, dalle sacrestie e dalle cripte delle Chiese...
Vari sogni incontrai nel cammino... e voci confuse, come ad una festa udii rimbalzare nelle gallerie:… forse tre, quattro... dieci volte sentii chiamare il mio Nome; dietro di me uno sguardo ancora mi seguiva... nuovamente tentai la fuga.…

Finché giunsi ad un bivio.

Esausto il cammino cedeva sulle mia gambe...un sonno quieto e pesante raggiunse le mie stanche membra. Mi svegliai ore dopo (credo), madido dell’acqua sgocciolante delle caverne con lo stupore d’un sonno artificiale.
Innanzi il bivio m’attendeva.

Lettore!. Sia ben chiaro!. Il problema è indeterminato!.
Ma giocando il gioco medio dell’assente questo bivio immaginai univoco.

Ora, mortale, entravo nella casa.

MASSIMO




. Ringrazio l'assistenze di office per l'aiuto ricevuto nella stesura di qeusto piccolo racconto.

mercoledì 8 ottobre 2008

Questo racconto l'ho scritto a Luigi per il suo compleanno come regalo.
“Mille guerre e lunghi anni mi separano dal mio padrone. Salpò con i suoi uomini per un viaggio per terre ai confini della tenebra e dell’orizzonte, e ancora attendo il suo ritorno. Ormai vecchio e cieco, nel mio giaciglio e all’ombra di un olivo, lo attendo da vent’anni, e prego gli Dei di morire accanto a lui mentre scaglia una vendetta fatta di frecce contro coloro che hanno occupato e la sua casa e umiliato la sua sposa.
Anche il mio amico, come il mio padrone, sconta le invidie e l’odio della moltitudine che usa maschere e trappole in suo danno, fabbricando calunnie e seminando il demonio. La sua casa, immensa e nobile, potrebbe reclamare maggior considerazione nel paese; ma ha la modestia del contadino e l’umiltà di un uomo timorato di Dio, e in fondo, “non è giusto”, dice lui.
Non nego che il mio gergo sia stato di aiuto al nome del mio amico; c’è stato un tempo in cui il mio coraggio ha conquistato territori e coscienze, seppur randagio e in catene. Questo mio scritto, in suo omaggio, gli giunge ora come un gesto portato dal vento, per augurare tempi migliori. Non temo l’errore delle cose, né il miraggio dell’al di là, ma il ritorno di epoche oscure e tenebrose.
E mentre dentro queste righe aleggia un passato insidioso che sta scomparendo, gli astri che vegliano la mia casa, con le bestie e le pietre miei unici compagni, sono gli ultimi testimoni della storia che ho narrato a sostegno del mio amico.
Chiedo perdono della cattiva grafia, ma sono cieco, e per giunta la penna mal si appoggia alla mia vecchia... zampa”.



9-08.01 Auguri
( Massimo) ARGO (cane di Ulisse)
EXPERIMENTS:

“Un pub sta chiudendo, e le donne delle pulizie entrano con scope e pattumiere. Dei mozziconi e cartacce raccolti dal pavimento fanno commenti della sera trascorsa.
In un angolo buio vicino al gabinetto un uomo da solo sembra dormire, il volto ha raccolto, gli occhi semichiusi, e si regge la fronte con una mano; ogni tanto borbotta e si lamenta di qualcosa. Vestito di un trence verde, ha tra le dita una sigaretta consumata, ed il filo di fumo che sale gli si attorciglia alla testa come una nuvola tra la montagna.
Fuori la pioggia dura ed esatta batte sulla canala. Aria fresca e nuova entra dalla porta. Ad un certo punto l’uomo dall’angolo si alza e va in bagno. Si guarda allo specchio, vede i suoi occhi cerchiati di scuro, la pelle gialla e cascante, la barba incolta. Dalla giacca un fazzoletto a quadri esce scomposto.
Uscendo l’uomo, inciampa e cade. Gli occhiali gi scendono sul naso e poi si rompono sul pavimento.Le lenti frantumate vengono raccattate dalle donne, che lo scacciano a granatate.
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martedì 7 ottobre 2008

LA FINE
Per anni ho predicato il falso, lo ammetto. Di paese in paese sono fuggito fino all'estremo limite della terra. Anche ho trovato riparo in mare. Ma ora, cavalli e spade mi cingono d'assedio. Presto sarò giustiziato, e non vi sarà moneta o ferro che potrà salvarmi. Il fervore di una preghiera decadente alla sera, è un grido d'aiuto; il tramonto e l'acqua d'un ruscello, un sollievo e un sorriso.
Non penso a niente (o forse penso come un morto), ma riesco a dormire sereno nel tempo finale. La notte, perfino canzoni di naviganti visitano il mio sonno, e un volto d'una donna mi appare sorridente.
Felice è colui che capisce
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martedì 30 settembre 2008

COLPO GROSSO A CASA DEL CONTE.
raccontino dedicato all'amica Rosalba. Natale 2008.


ll commissario Lattanzi non aveva dubbi. I ladri durante la notte si erano calati dal camino con una corda, come la Befana. Ma cosa avessero rubato nel nobile Palazzo del conte Mizzica era un mistero: la cassaforte era intatta, come tutti i danari e gli ori del canterale. Unici indizi al vaglio degli inquirenti: la ruota bucata di una Vespa 50; una scatola di Viagra vuota, e un biglietto per la Svizzara solo andata. Queste tracce tuttavia non portavano a nulla.
L’indomani mattina però, erano le 8,00 nell’ufficio del commissario già suonava il telefono. Dall’altro lato della cornetta una voce contraffatta spifferava gaudente che i colpevoli bazzicavano la chat. A nulla valse sapere chi fosse l'anonimo: questi si limitò a dire di chiamarsi MisterY. Aggiunse inoltre che i tre erano “tipi poco raccomandabili, specie uno che ha la tendenza ad offendere gli sposati o gli scapoli in età matura. Cavolo! - esclamò il commissario - allora ce ne è anche per me che son sempre single a 47 anni.!”
Il commissario si mise al lavoro. E seguendo le indicazioni di MisterY iniziò a scuriosare in chat. Di tanto in tanto faceva qualche domanda col nick Papavero e si fece conoscere presto alla comunità.
Per una settimana però i tre ricercati non si fecero vivi finchè una sera, verso mezzanotte, fece capolino un certo BANANA che infastidì la chat con richieste di Viagra. Di li a poco intervenne anche un certo MERLUZZO che iniziò ad offendere gli scapoli, tra cui il Commissario Lattanzi, al quale propose anche di andare a cercar donna in Svizzera. Infine verso l’una di notte, al gruppo si aggiunse un certo CINTURRINOBOY, uno scalmanato di Scasazza, paese ai confini della civiltà, che proponeva raduni e feste per i Vespisti50. Col cavolo che! – esclamò il Commissario – Qua c’è tutta la banda al completo!!”.
Fu così che il commissario risolse il caso. Dal master della chat si fece dare gli indirizzi, e il giorno dopo scattarono le manette per i tre, che, siccome non avevano rubato nulla, furono denunciati solo per violazione di domicilio. Nell’interrogatorio che seguì infatti il commissario chiese loro: “Ma allora che ci siete andati a fare nel Palazzo del Conte??” – Cinturino rispose: “di ritorno da Scasazza avevamo bucato la Vespa; entrammo nel palazzo solo per cercare un riparo. Ahh, quindi in tre su una Vespa?? – allora vi beccherete anche la multa – disse il commissario”.
Insomma andarono qualche giorno in galera, e poco dopo la pena fu commutata in una settimana alla pulitura delle fogne. Tuttavia la storia non era ancora conclusa. Mancava infatti l’identità dell’anonimo Mister Y che aveva telefonato. E su questo il commissario brancolava nel buio.
I tre amici salutarono il commissario con una domanda:” Per caso si è visto Yena??. Il commissario disse di no! – non so chi sia!”. Il cellulare li portò via, e la sera calava clamorosa tra le luci della strada, il commissario pensieroso si accese un sigaro: "Yena?! strano nome....ma che sia Mister Y ???”.
I giorni passarono presto e così, dopo aver ripulito le fogne del paese, i nostri amici tornarono in libertà. Banana si trovò un lavoretto come portiere di notte in un albergo fuori città; Cinturrino invece decise di andare dai suoi amici a Settecamini – località Candelo, un paese ai confini della civiltà, dove tutti i ragazzi truccano motorini e Vespe. E infine Merluzzo si iscrisse ad un corso di dattilografia e di buone maniere. Mai questi progetti durarono poco perché i tre ricevettero una lettera dal loro introvabile amico: il fantomatico Yena, che diceva: “Cari amici, ho saputo della Vs disavventura. Ma sono sicuro che dopo aver ripulito le fogne di mezzo paese non potrete dirmi di no all’offerta che vi faccio. Mia zia vive sola in campagna e mi ha chiesto se gli trovo qualcuno per dei lavori alla fattoria. Bisogna solamente raccogliere le mele e le pere dagli alberi, e ogni tanto dar da mangiare agli animali. La paga è di due minestre al giorno, l’alloggio è garantito, e se alla fine del mese tutto va bene, ci sarà un premio-extra per tutti, e cioè Viagra per Banana, un biglietto per la Svizzera per Merluzzo, e un carburatore della Vespa per Cinturrino.
Fatemi sapere.
Ebbene dopo un po’ Cinturrino si occupò di rispondere a Yena, con una lettera piena di errori che se la maestra delle sue scuole lo avesse saputo lo avrebbe richiamato in prima elementare..Comunque in buona sostanza accettarono l’offerta con la condizione, aggiunta da Ana dopo consulto, che i premi sarebbero raddoppiati col raccolto. La zia di Yena accettò e li invitò a prendere un te alla fattoria.
Alla riunione la zia fu ben impressionata dai ragazzi, soprattutto dalla riservatezza di Ana che non disse nulla se non quando ebbe bisogno di andare in bagno, tanto che lo ebbe a ben volere subito.
Del Merluzzo invece non aveva gran che stima. Lo vedeva scorbutico e spesso sbuffava mentre la zia spiegava il da farsi. Soprattutto rimase delusa quando ad una semplice domanda rivoltagli, Merluzzo rispose che le donne son tutte puttane, comprese le vecchie. Al che la zia ci rimase male.
Anche Cinturrino entrò nelle grazie della zia, meno di Ana però. Cinturrino sembrava un ragazzotto che non era più grande di quello che voleva far apparire. Si fissò sul telecomando e non fece altro che cambiare canali in continuazione, sbadigliando dal sonno. Alla fine si addormentò sul tavolino del salotto, e dovettero urlargli nelle orecchia per svegliarlo.
La settimana si annunciava pesante però. La sveglia era alle 5,00 disse la zia. E Yena da gran factotum disse che chi rimaneva addormentato sarebbe stato multato. Al sentir parlare di multa Ana, che è tirchio, si propose di non prendere più il valium per dormire, con il risultato che non dormiva mai, e per questo divenne presto nervoso e irrequieto. A volte si dimenticava di cose semplici..al Merluzzo ad esempio disse un giorno: “come si chiama questa scatola dove si vedono le immagini? – e il Merlo fuoribondo rispose - “televisione! si chiama!, Ma che sei diventato scemo??."
Per il lavoro si organizzarono per settori, Ana si occupava delle mele, Cinturrino delle pere, mentre il Merluzzo preparava le cassette e si occupava degli animali. Il lavoro lo appassionò. Di li a poco fece amicizia con i maiali, in particolare con un porco rosa che era il più sporco di tutti.. Ci parlava come fosse suo fratello, invece odiava il pollame. Erano comunque buoni lavoratori. Yena di tanto in tanto veniva a vedere gli amici, faceva anche il comandore ..te metti li, tu metti là, mentre se ne stava in cassetta del calesse con aria padronale, ma il suo ruolo era quello di sbrigare commissioni alla zia come pagare le bollette e fare la spesa.
Ma sui soldi di resto da portare alla zia spesso ci faceva la cresta. Si fermava in paese infatti a bere al bar per fare il bellimbusto con la barista, una discreta ragazza dalla r moscia che a Yena piaceva. Fatto sta che la zia ben presto si accorse dei soldi in meno che gli arrivarono. Così incaricò il Merlo di tanto in tanto di tenerlo d’occhio quando andava in paese. Anche ana incontrò l’amore. Occhiò una vivace contadinella e da quel giorno non faceva che pensare a lei. Con aria sognante la seguiva perfino dove lei scompariva. E la notte rimaneva insonne più di prima tanto che la zia incaricò Cinturrino di farlo addormentare con qualsiasi mezzo. Contrario alla sua indole aggressiva Cintu inizò a cantargli la ninna nanna e raccontare favole, e lo stratagemma funzionò così bene che anche la zia volle la ninna nanna da Cinturrino. E poco dopo perfino il Merlo volle addormentarsi con le favole; con il risultato che l’unico a rimaner sveglio fu proprio Cinturrino.
La notte in campagna era un brulicare di luci della collina. E tutto si quietava esclusi alcuni versi di uccelli che dal cimitero arrivavano al letto dei nostri amici. Ana era il più spaventato. Credeva infatti che erano i morti del cimitero che parlavano tra di loro, e imputava la colpa al fatto che lui spesso bestemmiava, soprattutto allo stadio, quando il Milan perdeva e le sue disavventure aumentavano. Quindi così veniva punito. Cinturrino e il Merlo, ma più Cinturrino, lo convinse a non credere alle favole, escluse a quelle che sapeva raccontare lui stesso anche troppo bene, e con una mossa astuta il Cintu riuscì a distrarlo: infatti gli disse: Oohh Ana ieri la contadinella mi ha detto di te, sai? Sembrava interessata, e mi ha detto di dirti che forse si fa accompagnare al pozzo a prendere l’acqua se ti fai trovare in ordine domattina..quindi riposa!. Ad Ana non bastò altro. Dormì subito come un sasso
Ma la notte non passò indifferente. I sogni comparvero strani e vividi come realtà. Ana in sogno sognò che mentre scendeva le scale per fuggire di nascosto dalla contadinella incontrò proprio il Merlo che a sua volta se la filava verso la contadinella. Cosicchè entrambi capirono che erano rivali in amore, sicchè iniziarono ad odiarsi. Tanto che la mattina al risveglio Ana e il Merlo non si parlavono più.
Intanto la vicenda prendeva anche un’altra piega perché l’indomani yanap riprese il calesse diretto al bar a fare il bellimbusto con la ragazza che bramava, e il Merlo secondo l’incarico ricevuto dalla zia lo seguì appresso nascosto nella cassa a rimorchio. Giunto al bar del paese yenap entrò nel bar, mentre il Merlo sgattaiolò da una porta secondaria del locale e si nascose all’interno di un sottoscala abbastanza vicino per controllare yenap. Yena attaccò ad ordinare le bevute e quanto più bevevo più la lingua gli si scioglieva davanti quella sciantosa che gli si parava dinanzi. Così tra un bicchiere e un altro yenap raccontò della ganzata della telefonata misteriosa che fece al Commissario. E raccontandola rideva e sghignazzava. Chi invece non sghignazzava affatto era il merlo che da dietro sentiva il racconto del traditore che gli era costata la pena della pulizia delle fogne, con i suoi compari. E deciso a vendicarsi ascoltò fino in fondo per riferire poi tutto agli amici. Yena spese abbastanza e incurante di tutto riprese il calesse, col merlo già pronto nella cassa a meditar vendetta. Il ritorno fu abbastanza scomodo, specie per il Merlo, perché Yena ubriaco andava a zig zag prendendo le buche dalla pista, così i sobbalzi del carretto scuotevano il merlo dentro la cassa che picchiava la testa contro il coperchio. Ed anche le testate furono messe in conto dal merlo.
Arrivati a casa Ana era ancora spaventato dall’uccello nero del cimitero che la sera gli si appollaiava sul davanzale e Cinturrino gli disse che non deve preoccuparsi di altri uccelli al di fuori del Merlo.
Il Merlo arrivò pesto dappertutto ma ebbe fiato per raccontare quello che al bar del paese aveva sentito nascosto nel sottoscala. Raccontò che yenap si era preso gioco di loro, che li aveva traditi mandandoli a pulire le fogne del paese e che andava a spifferare alle ragazze questa sua bravata facendosi bello. Ana e Cinturrino rimasero sorpresi di quanto riferito e allora pensarono appunto di fargliela pagare. Ma come? Intanto c’era da finire il lavoro e da incassare i soldi coi premi. E poi solo allora si sarebbe pensato a come fargliela pagare. E poi intanto una prima vendetta sarebbe stata quella di informare al zia di quanto il nipote sperperava in paese.
Non era il momento di vendette ora. Ana era innamorato ed odiava il Merlo, e il Merlo pure. Ma come avrebbero risolto la questione della contadinella tra i due litiganti???.
Il dilemma devo dire, fu risolto nella più imprevedibile mossa, a tavolino una sera, in cui Cinturrino capì che la situazione non si sarebbe sbloccata tra i due contendenti se non in malo modo.
Cinturrino con la zia misero in atto un piano ardito. L’indomani, prima che i due andassero come al solito al pozzo, a far visita, avrebbero aspettato la ragazza. Li col calesse l’avrebbero rapita e infine imbarcata su un cargo diretto alle Maldive. Alla ragazza dettero un bel po di soldi, anzi tutti i soldi del lavoro, per tenerla buona giusto il tempo necessario. Dopo di che sarebbe rientrata allorquando l’impegno si fosse sciolto e tutti sarebbero ritornati a casa. Quindi la zia e Cinturrino agirono, e quando i due contendenti non la videro più, e così per giorni e settimane, si calmarono, e pian piano ritornarono a cogliere mele e pere nel campo, con Cinturrino a fare le cassette e altri lavoretti.
Il raccolto fu terminato e del ricavato la zia presto dovette render conto ai lavoranti. Ormai al corrente degli sperperi del nipote, e del prezzo pagato per aver evitato la vendetta, la zia era rimasta senza soldi. Potè solamente pagare in natura con mele e pere e con qualche animale della fattoria.Al merlo toccò il suo amico maiale, ad Ana un uccello nero in gabbia, del quale si venne a sapere a storia finita essere l’uccello del cimitero, e a Cinturrino una cassetta di mele e pere. Per quanto riguarda yena non beccò nulla. Lui aveva da riscutotere presto qualcos’altro.
La vendetta è un piatto che va servito freddo. E così il merlo e gli altri accantonarono la questione. Si faceva prioritario il problema dei quattrini e loro erano a secco. Ana aveva fretta di ritornare allo stadio, il Merlo desiderava ancora la svizzera, e Cinturrino senza carburatore rimaneva al palo. Quindi alla fine ne parlarono una sera davanti ad un fiasco di vino e a lume di candela. Sul tavolo il Merlo mise una cartina e disse: cari amici, questa è la soluzione ai nostri problemi. In bell’evidenza infatti c’era la mappa della banca di…….Settecamini!!.
Allora Merluzzo spiegò il piano agli altri. Sarebbero entrati dal camino della banca con una corda, come avevano già fatto a casa del conte. “Yena – disse il Merlo – si dovrà trovare qui! – e indicò un punto esterno alla banca. Ma non ebbe a finire la parola che proprio Yena nell’intento di fare le corna a Cinturrino incappò nel fiasco e rovesciò il vino sulla mappa. Cosicché il Merlo diede subito una prima razione di ciaffate a quel distratto, che scappò dal tavolino inseguito dagli altri.
Tornati al tavolo dopo la baruffa il merlo spiegò il piano, fino a che la candela si spense. Gli altri dettagli sarebbero seguiti l’indomani a mente fresca.
La mattina il gallo svegliò presto tutti. Ripresero il discorso interrotto. "Tu Yena starai fuori col calesse a fare da palo e pronto alla fuga – disse merlo. - e dovrai stare nascosto. Ana Cinturrino e io saliremo sopra il tetto dalla canala. Quando i bancari usciranno entreremo noi, e zitti".
Il giorno che venne fù un giorno di pioggia intenso, così intenso che non si vedeva quasi nulla tanto che Yena andò a sbattere il naso contro una palizzata. Però, per una rapina era il giorno perfetto. Avvolti in mantelli scuri sembravano per chi li avesse visti, tre uccellacci del malaugurio. Avevano anche un cappellaccio a tesa larga che gli faceva da ombrello per appunto non bagnarsi la crapa. Alle 16,00 del pomeriggio era già buio, e presto gli impiegati sarebbero usciti. Cinque minuti dopo fu Ana che prese l’iniziativa per scalare la canala, seguito dagli altri. Usando una botte salirono prima su un balconcino e di li di finestra in finestra arrivarono sul tetto. Che Ana, solitamente pigro e sempre a letto, fosse così abile nello scalare la canala fin sopra il tetto, fu una grande sorpresa per tutti. Per lui scalare fu come guardare il Milan seduto in poltrona. Più difficoltosa fu la salita di Cinturrino, sia perché più robusto sia perché provava vertigine. Alla fine insomma arrivarono tutti sul tetto. Attesero un attimo che il tempo si placasse e iniziarono uno dopo l’altro la discesa nella canna fumaria. Il percorso fu assai facile, e in pochi passi arrivarono alla meta. Il Merlo che fu il primo a calarsi si prese gran parte della caligine sicchè uscì che era più nero di prima. Dentro la banca si dettero na spolverata dopo di che iniziarono a lavorare alla cassaforte. Cinturrino aveva con se vari arnesi, ma soprattutto si portò un bel candelotto di dinamite che gli era rimasto in saccoccia dalla festa di Halloween. Lo posizionarono sulla porta di acciaio legato alla maniglia e dopo essersi nascosti dietro un bancone il mitico Ana dette fuoco alla miccia. Fuori intanto la pioggia continuava a battere forte sui tetti e nella strada. E Yena col suo cappellaccio si beccava tutta l’acqua. Dentro invece la miccia consumava gli ultimi attimi, prima della deflagrazione. Attimi in cui i nostri tre amici incrociarono più volte i loro occhi: gli occhi spiritati del merlo, sembravano spruzzare scintille; gli occhi cerchiati di Ana, mobili e sgranati, simili a quelli del Panda; e gli occhi rotondi di Cinturrino, simili al fanale della sua Vespa. Yena fuori invece con gli occhi a cappuccio ma furbi da faina. Tic Tac tic tac batteva l’orologio della banca…tic tac tic tac..tic tac tic tac…batteva la pioggia fuori..tic tac tic…..BOOOMMMMMMMM!!!!!.
Un’esplosione terribile scosse il momento. Fumo e calcinacci che piovevano dappertutto..E fuori il cavallo imbizzarrito di Yena tentava di scappare. Presto presto gli inquilini si dettero una spolverata veloce, corsero nei pressi della cassaforte che era tutta sbrindellata. Un trave li ostacolava ma riuscirono a passare. E dalla cassaforte traboccavano i soldi e monete d’oro sonanti tra calcinacci e mattoni. “Presto facciamo presto – urlavano - prima che arrivi la polizia.” Arraffavano di tutto e mettevano nel sacco nero dell’immondizia. Ana fu contento quando dalla cassaforte trovò persino la merce più preziosa per lui: una scatola di Viagra nuova; ed anche per il Merlo ci fu una bella sorpresa: un biglietto da viaggio per la Svizzera solo andata; e anche per Cinturrino fu festa con un bel carburatore per la Vespa. E poi soldi, banconote, buoni postali e valori bollati. Dalla cassaforte di Settecamini usciva di tutto: uscì la colazione degli impiegati: panini al prosciutto e biscotti che se la sgraffignò Cinturrino in un sol boccone, uscì una boccia di Valium che subito Ana se la trinkò a gargarozzo per star calmo; uscirono riviste porno di ragazze di Scasazza che andarono a ruba, uscì perfino una vecchia Balilla del 1915 a manovella. Uscì infine un rotolo avvolto in una pergamena. Un rotolo che doveva esser prezioso da come era confezionato e legato con fili dorati, e coccarde argentee. Pian piano fu aperto anche questo rotolo. Ma dentro il rotolo si scoprì che ce n’era un altro, e dentro questi ancora un altro.
Finchè alla fine fu svolto l’ultimo rotolo, e così apparse una strana tela, che sembrava un quadro. Un quadro con delle scene di vita naturale. Ana per meglio vederlo lo appese alla parete della banca con del nastro adesivo. E fu così che tutti rimasero incantati dalla bellezza e dai colori lucenti del quadro. Era non proprio un quadro, ma una tela da salotto ben ornata con delle scene di ninfee, tempietti romani, e con dei cigni nel laghetto che nuotavano con bella vita intorno e scene paradisiache. Così belle che tutti e tre rimasero incantati dall'immagine. E nell’estasi furono ipnotizzati, con gli occhi vitrei e fissi, abbandonati al desìo, stavano muti e inanimati come statue di sale. Purtroppo per loro nessuno della banda fece caso alla scritta in basso alla tela, perchè se lo avessero fatto forse si sarebbero salvati scappando col bottino: ebbene c'era scritto: “questo è l’arazzo di Rosalba, chi lo guarda, dorme fino all’alba.”
La storia si concluse poco dopo quando la polizia li trovò immobili davanti l’arazzo, come marionette. E fuori trovarono Yena, fermo e vitreo anche lui, come se l’incantesimo avesse riguardato tutti coloro che avevano tentato di trafugare il quadro, come per una maledizione. Infatti come nella formula dovettero aspettare l’alba per svegliarsi. Fu il commissario a tirargli una secchiata d'acqua come ai cavallo, ma per loro fu un amaro risveglio, perchè furono portati in galera. Al commissario seppe male portarli dentro perchè in fondo li conosceva e sapeva che non erano cattivi; chiese clemenza al Giudice, il quale li condannò alla pena della pulizia delle fogne per un mese. "Del resto - aggiunse alla lettura della sentenza - oggi voglio esser bravo; oggi è Natale.! ".

sabato 27 settembre 2008

UNA SERATA AL BALLO LISCIO
(n. d. A. Puttana miseria che roba!)
Questo fatto successe nel dicembre 2001 in una rigida sera d'inverno, vicino alla fine dell'anno. In un localaccio di 4° grado in aperta palude, io e un mio amico andammo per conoscere.
Prezzi e ambiente: biglietto d'ingresso 10€ consumazione compresa; consigliati pantaloni scampanati, vistose cotene d'oro al collo, camicie bianche con le becche. Fuori nel parcheggio (1 € al custode non autorizzato) ci sono: una Fiat 127 celestina col portapacchi, un'Alfa Giulia blu con fendinebbia gialli, un GT Junior smarmittato con una feritoia sul cofano, una Mini con un asso di picche sul tetto, e un 128 con una striscia nera che attraversa il tetto. Età media 60 anni; i camerieri in bianco si aggirano spettrali coi vassoi, e l'orchestrina è fatta di anziani coi baffi e capelli lunghi che si credono giovani (beati loro) che suonano dei lisci; mentre io mi sento sempre più fuori dal mondo: (ma che cavolo ci sono andato a fare!!!??...lo sapevo!).
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"...la vidi tra la folla, al bordo della pista, serena con l'amica. Di lato la miravo, nascosto da persone, già unica e sublime. Navigando tra la gente la sua orbita m'attrasse, con l'amica cortigiana a far da sentinella. Girò gli occhi, spensierata e sorridente come prima, e vide me senza guardarmi. Oggetto indifferente al suo cospetto volle adombrar, ma sorrisi lievi in codice all'amica tradiron la sua finta. Con me, nuova grazia le instillai, e l'ambiente risentì del nuovo mondo. La musica intonata accompagnava la sua aria. Ma poco dopo, infastidito, civettava con un figuro, poi con altro, e altro ancora, e con l'amica sussurrar all'orecchio. Infelice l'attimo che oscurò il mio volto. Celai costretto il rospo nella pancia, e altrove tentai salvezza, ma incontrai il mascherone d'una vecchia (fin troppo sicura di sé), e poi d'un'altra (fin troppo audace nello spacco d'una gonna). Salivo sugli specchi e scendevo nella fogna. Caparbio finsi d'ascoltar la musica (che non m'accolse), sudai ed incespicai dolente sui miei passi. Il mio amico capiva/non capiva.
Finalmente usciron dalla pista, poco dopo, nel momento in cui la musica più bella terminava.
"Perle rare in un'infima balera, pagai in diamanti una donna di mercato!".
Ma ormai ero in ballo, tutti mi guardavano, esigendo sacrificio.
Così nel momento dello stacco l'affiancai, lei serena e sorridente come sempre. E poichè con sforzo e per dovere, al ballo la invitai, lo feci con timida minaccia, ma non con la migliore faccia.
Già avevo perso. Lei capì, io capii che lei capì, ma un sorriso splendido (di velata circostanza) risaltato dai delicati lineamenti, mi fregò. Di circostanza in circostanza si parlava, ma di chi?. Faticavo a rincorrerla in quel gioco di rimandi, tra un drink "scialato", divanetti, sedie e gente rompicazzo. Eppur già alla prima occhiata capii chi fosse, cosa volesse. Che stupido! mi dico, in tal posto ero andato per cacciare, attizzato dal custode delle auto (a cui detti 1 €); "forza giovani son vostre!". Ma ahimè fui preda del suo fascino e ben presto (ma troppo tardi), presi senno dell'evento.

La mia voglia di donna la resa bella; il covo infimo, ineguagliabile!.
In realtà son stato preda rifiutata, lo ammetto.
In realtà lei ha un culo grosso, due zampe d'elefante, e due tette che si confondono con la pancia.
Si! gli occhi e la bocca la salvano un po'
".

mercoledì 24 settembre 2008

- "La ricerca" -

Per tanto tempo ho cercato me stesso. Per capire.
Poi durante alcune notti venerabili, soldati e cavalli mi inseguono minacciosi nel deserto. Mi urlano parole incomprensibili ed io fuggo dalla morte verso la morte. Il deserto è un labirinto. Una voce mi dice di svoltare sempre a destra alla fine di ogni giorno. Penso sia Dio. Così faccio ad ogni tramonto, così ho fatto per lunghi anni della mia vita. Del sole ora posso dire che è una parabola, della terra un punto.
Una notte, un bagliore illumina la mia mente. Una luce riverbera tra le dune. Penso al miraggio. Vedo una stanza familiare. "La mia stanza dei giochi". C'è mio padre e mia madre in fondo, e aspettano sorridenti. In mano hanno pugni di sabbia, ed una voce ignota dice. "Mille lune e mille soli sono sorti e tramontati, senza nessun’ombra di dubbio dell'unica sabbia di cui sei fatto".
Sia benedetto il Signore.


- S. Lorenzo -

Dentro una scatola c'era un'altra scatola. Questo gioco dell'infinito mi fece pensare alle stelle. Era estate e vidi alcune che cadevano. Io non ho potuto far niente per evitare questo dramma meraviglioso. Alcuni popoli avrebbero innalzato grandi pietre verticali, altri pregato, altri sognato la pioggia. Io in verità, come gli altri, ho espresso segretamente un desiderio, un augurio, forse impertinente al dramma che si consumava.
Voglia S. Lorenzo correggere il mio errore.

martedì 23 settembre 2008

LA SCURE

LA SCURE (The Axe) Chi io sia è presto detto: una scure! Di quelle taglienti, levigata dalla pietra, battuta per tre giorni e tre notti da soldati armeni, temprata nel sangue di leone. Ho servito fedelmente innumerevoli padroni: cavalieri, soldati di ventura, barbari, assassini e boscaioli. Ora, abbandonata in un granaio, finisco i miei secoli marcendo. La mia lama è finita, il manico storto e screpolato. Presto nessuno mi impugnerà. Ma temo la magìa che rinnovo: chiunque m’impugni, può diventare coloro che mi impugnarono: un assassino, un cavaliere, un mercenario. Una luce oscura mi avvolge e un incanto cattura chi ha l'ardir di maneggiarmi, anche per gioco. Magnetica io richiamo gli occhi, come le rotaie del treno. Chi io sia non so. Sospetto un remoto oblio sia implicato, o sfere nascoste dietro uno specchio, o spirali doppie nel corpo di un demone; un disegno alacre, tagliente e levigato, ancora aleggia e naviga dovunque.

NASCITA



"Avevo eluso tanti incagli di disordini tellurici, tante palle di fuoco nel cielo che sembrava impossibile credere in pronostici di tarocchi riguardanti il mio destino, perchè ad esso imponevo mete imprevedibili in un'epoca di grandi incertezze, dove il vuoto assoluto era protagonista sconosciuto di uno scenario perfetto che mi apparve in una tenue notte di vetro di un martedì di ventisette anni fà, or sono, quando il tempo stagnato di una clessidra si smosse, e mi partorì facendomi scivolare dall'alveo di un altro mondo, nel quale navigai per tempo imprecisato alla ricerca di una meta sconosciuta ed unica, verso la quale antichi aliti e maree millenarie mi sospinsero impetuosi, rischiando di cozzare con i dimenticati incubi di un'altra epoca e di un altro spazio, che di tanto in tanto affioravano minacciosi nell'impalpabile fantasia, ancor più abissale di quella che apparve il martedì funesto che contava ventisette clessidre vuote, or sono, a partire dall'ora diafana della notte del penultimo mese di maggio, ed allora, nel primo palpito incomprensibile, ebbi il primo sentore di morte e percepii la realizzazione di antiche premonizioni, come che quel giorno il fango delle paludi sarebbe risalito fino alle origini, che le galline avrebbero fatto uova pentagonali, e che il pendolo della macchina celeste avrebbe oscillato più velocemente, fino a dissolversi nell'ellisse di un altro moto perpetuo, cosicchè ebbe fine lo stato di immortalità di allora, nell'istante in cui il mio specchio riflesse la mia immagine, e le ombre del destino si ricomposero con il suo significato letterale, e con gli stessi oggetti da cui promanavo, nei secoli dei secoli."